Il mio approccio
Metodologia
Psicologia Analitica
Il mio approccio terapeutico segue il metodo analitico, che trae origine dal pensiero e dalle opere del medico ed analista svizzero Carl Gustav Jung, e dalla psico logia archetipica dello psicoanalista statunitense James Hillman.
La psicologia analitica nasce da una costola della psicoanalisi di Freud, di cui Jung fu allievo e collaboratore dal 1906 al 1913. La psicologia analitica si distaccherà dall’approccio freudiano in seguito ad alcune divergenze del pensiero, espresse nel 1912 nel libro Trasformazione e simboli della libido proseguendo la sua ricerca nel campo della psiche.
Jung sente la necessità di superare la concezione unilaterale dell’uomo e del mondo che emerge dalla psicoanalisi freudiana, molto influenzata da un approccio materialista e razionalista tipico della fine dell ottocento.
Jung non rinnega tutta la teoria freudiana, ma ne percepisce alcuni limiti. Semplificando, potremmo affermare che per Freud la struttura psichica dell uomo è come una casa dove ci sono tante stanze, alcune note, altre nascoste
e mai visitate.
Lo scopo della terapia per Freud è diventare padroni a casa propria rendendo conoscibile quanto più possibile del proprio inconscio.
L’approccio freudiano inoltre è di tipo causale, ad ogni causa consegue un effetto, pertanto la terapia è alla ricerca delle cause prime che hanno scaturito problematiche nella persona.
Jung si discosta da questo modo di vedere dando maggior importanza al senso dei fenomeni psichici, ovvero alla loro finalità.
Per Jung il comportamento dell’uomo non è condizionato unicamente dalla sua storia personale o da quella della razza umana, ma anche dai suoi fini e dalle sue aspirazioni.
La concezione Junghiana considera la direzione futura dell’individuo e nello
stesso tempo la storia dell’uomo con tutte le predisposizioni trasmesse dai suoi antenati.
L inconscio dunque per Jung, oltre ad essere formato dalle esperienze personali rimosse (inconscio personale) è la base della psiche, la struttura immutabile proprio dell’insieme dell’umanità (inconscio collettivo), composto da immagini, gli archetipi, forme universali di pensiero.
La terapia per Jung, indipendentemente dalla gravità del disturbo e dalla sua
diagnosi psicopatologica, è un riadattamento alla realtà che deve tener conto della scoperta e della realizzazione dei bisogni personali più profondi (principio di individuazione).
Psicologia Archetipica
Negli anni 70 nasce un movimento culturale denominato Psicologia Archetipica, che condivide con Jung l’idea che le strutture fondamentali e universali della psiche sono gli archetipi e che solo parzialmente sono modificati dai fattori storici.
Gli archetipi compaiono nelle arti, nelle religioni, nei miti, ne i sogni, così come nelle culture di tutti i popoli. E proprio in questi prodotti che possiamo studiare la natura umana e giungere ad una revisione della psicologia, della psicopatologia e della psicoterapia.
Il dato da cui la psicologia archetipica prende le mosse è l’immagine, che viene nuovamente nobilitata e sottratta alla retorica negativa della fantasia.
Hillman è lo psicologo che predilige l’arte del narrare. Raccontare storie, sogni e fantasie significa occuparsi della fantasia che opera per immagini.
La psicologia archetipica concepisce la terapia, e la psicopatologia, come la “messa in scena” della fantasia.
Diventare consapevoli del modo in cui raccontiamo la nostra storia, capire che parte recitiamo, scriverla e riscriverla insieme al terapeuta con uno stile più
autentico e profondo è il lavoro della terapia psicologica, del fare anima.
Immaginiamo la psiche come un palcoscenico di personaggi e leggiamo ogni idea come espressione di un personaggio che va incontrato, ascoltato e conosciuto profondamente.
Che il setting sia individuale oppure gruppale, il percorso psicoterapeutico archetipico parla il linguaggio dell’immaginazione e tende a portare ad individuazione le immagini.
Il terapeuta si farà madre e padre, attivando ora la madre e l’accoglienza per la storia clinica, i traumi, le deformità e le patologizzazioni, ora il padre come limite, come confine e come responsabilità.
La psicologia analitica archetipica non è un approccio integrato ma ricomprende in sé tutte le altre psicologie.
Il Sogno
Sia Freud che Jung e Hillman lavorano sul sogno onirico, seppur con modalità diverse.
Nel corso dei secoli, il sogno ha sempre suscitato la curiosità di studiosi e non. Moltissimi se ne sono occupati, ma una vera rivoluzione in campo psicoanalitico, avviene quando Freud nel 1899 pubblica il saggio “L’interpretazione dei sogni”.
Nel saggio Freud, prendendo le distanze dalle credenze popolari e dai metodi classici che caratterizzano la comprensione dei sogni nell’antichità si interroga sull’attività onirica e la ridefinisce.
Si può affermare con certezza che con Freud il sogno inizia ad assumere un
valore nuovo che si inserisce all’interno di un’esperienza umana significativa.
Per lo psichiatra viennese i sogni hanno la funzione principale di appagare un desiderio rimosso.
In questo modo il materiale rimosso può rivelarsi alla coscienza sotto forma di sogno, la cui forma originaria intollerabile viene opportunamente modificata e deformata per essere resa accessibile.
Il lavoro onirico, termine con cui Freud definisce l’insieme delle operazioni psichiche che mascherano l’appagamento del desiderio, opera una selezione del materiale del sogno distinguendone un contenuto manifesto, cioè il sogno così come viene ricordato e raccontato dal sognatore, da un contenuto latente del sogno il cui significato resta nascosto e può essere rivelato solo attraverso le associazioni del paziente durate il lavoro analitico.
Jung si discosta dalla concezione freudiana di sogno e afferma, che il sogno è dotato di una sua struttura e non necessariamente è influenzato dall’inibizione o la censura da parte della coscienza dei contenuti profondi.
Egli ritiene il sogno costituito da un sistema simbolico che svela l’inconscio ed è ciò che consente al Sé istanza psichica atta ad organizzare la personalità a manifestarsi con l’intento di essere compreso.
Da questo punto di vista il sogno non è più come invece per Freud, la via principale verso l’inconscio, ma addirittura qualcosa che va oltre.
È un linguaggio, un sistema simbolico che esprime i complessi dell individuo e della collettività personificandoli affinché arrivino a dialogare con la coscienza.
Semplificando, per Jung il sogno è “svelante”, per Freud “un velo posto sui contenuti”.
Per Hillman il sogno è “la psiche che parla a se stessa nel suo linguaggio che le è proprio”, non un messaggio da interpretare, ma la modalità con cui si manifesta l’anima.
Hillman suggerisce di tenere con se le immagini del sogno senza interpretarlo, vivendolo, ponendo domande, amplificandolo, seguendo il sogno nel territorio che gli è proprio.